sabato 27 aprile 2013

In movimento

La crisi è partita da lontano.
Dal 2008 ci ha messo un paio di anni a colpire il nostro territorio.
Doveva finire nel 2011 ma poi il 2012 è stato ancora peggiore e per il 2013 non ci sono prospettive migliori.
Alcuni si spingono a dire che ci saranno altri dieci anni di recessione.
Noi pensiamo che sarà anche peggio.
Pensiamo anche che potrebbe essere meglio.
Dipende dalla posizione e dagli occhi con cui si guarda.

Nel dibattito su “come uscirne” ci sono due modelli principali di pensiero in campo.
Il primo, oggi ancora maggioritario, auspica ed insegue la “ripresa”, “la crescita” e “lo sviluppo” seguendo il modello iper-liberista che è stato ed è l’ultima evoluzione del capitalismo “classico”.
Questo modello genera una visione del mondo e del futuro che ci fa vivere la crisi come fonte di ansia e insicurezza, evidenziando, nel vissuto quotidiano ,che ognuno di noi è solo ad affrontarla.
Essa ci dice: si salvi chi può,
spinge le comunità umane a combattersi per le risorse residue necessarie ad alimentare lo sviluppo continuo,
crea fenomeni di sfruttamento all’interno delle comunità,
riduce le persone a numero, le de-umanizza e infine le rende schiave e vittime del meccanismo economico,
espelle le persone dalla vita lavorativa (e le chiama esuberi), le rimuove dalla comunità sociale, relegandole ai margini, tra vergogna, frustrazione, impotenza e senso di inutilità.
Infine macina tra i propri ingranaggio vite, socialità ed ecosistemi.

Il secondo modello di pensiero, in costante diffusione, ritiene inevitabile oltre che auspicabile una ridefinizione del modello economico-sociale-ambientale che porti ad un ridimensionamento dell’incidenza dell’azione umana sul pianeta e garantisca una modalità di vita dignitosa e serena alle comunità umane.
Esso ribalta le priorità e ridisegna la scala dei valori.
Non più l’economia e la finanza al centro del pensiero, bensì la comunità umana.
Non più l’accumulo di ricchezze ma la loro redistribuzione.
Non più consumo per soddisfare bisogni fittizi, ma consumo di quanto necessario per una vita dignitosa e piacevole.
Non il tanto ma il bello.

La realizzazione pratica del primo modello l’abbiamo vista. Ci viviamo dentro.
Non conosciamo invece la via e le modalità con cui realizzare l’alternativa.
Possiamo solo andare per tentativi.
E ciononostante, ogni pensiero, ogni azione, ogni pratica che mette in discussione i dogmi e le situazioni del modello dominante ci dà un’indicazione in più e mette in moto il pensiero di altri.
Ecco perché è importante esserci ed agire in realtà sufficientemente dimensionate da permetterci di influire sugli eventi.
Ogni volta che i gruppi o i singoli lottano per un bene comune, un pezzo di futuro viene influenzato e viene ampliato l’intervallo delle possibilità.
Ogni azione genera nuovo pensiero e ogni pensiero genera nuova azione.

Si chiama movimento.

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